Il 65 % delle imprese francesi fa della sovranità numerica una sfida importante (1). Difficile da comprendere, la nozione di indipendenza digitale assume importanza nella misura in cui i grandi operatori di Internet (GAFAM negli Stati Uniti e BATX in Cina) impongono il loro potere, rendendo gli utenti sempre più dipendenti dalle loro soluzioni e cominciando a mettere in competizione gli stati. Ora questa tendenza alla «monocultura» degli strumenti digitali porta a sfide di tipo strategico, economico, politico ed etico, in particolare per quel che concerne l’utilizzo dei dati personali forniti dagli utenti. Ecco che entra in gioco la nozione di sovranità digitale: mira a ridare agli stati, alle imprese e ai privati la loro indipendenza digitale e il controllo dei loro dati. Chiarimenti.

Cos’è la sovranità digitale?

Uno stato sovrano è uno stato indipendente,«riconosciuto entro le sue frontiere dalla comunità internazionale» e che esercita sul proprio popolo «un potere di amministrazione e giurisdizione» (2). Riportata nella sfera digitale, questa nozione è tuttavia più difficile da circoscrivere. Se la sovranità digitale indica globalmente il fatto, per uno stato o un’organizzazione, di affermare la propria autorità al fine di esercitare le proprie prerogative all’interno del cyberspazio, risponde anche a problematiche più concrete, come la dipendenza tecnologica o il controllo dei dati personali dell’utente.

Di fatto, il movimento di sovranità digitale ha avuto inizio una decina di anni fa e ha lo scopo di riconquistare una parte del potere che si esercita in uno spazio digitale e che i suoi promotori hanno presto capito che stava sfuggendo all’influenza dello stato. La dichiarazione di indipendenza del Cyberspazio pubblicata nel 1996 dispone in effetti l’assenza di autorità dei governi all’interno di questo ecosistema (3). Ben presto gli stati si sono ritrovati contestati nella loro sovranità in ragione dello sviluppo di una globalizzazione digitale che scavalca confini e leggi e che permette ai più potenti del Web di imporre le proprie regole, quasi ad entrare nel rango di «nazioni smaterializzate». Gli esempi vanno in questa direzione: la nomina da parte della Danimarca nel 2017 di un ambasciatore presso il GAFA (4) o il termine «colonizzazione» (certo consentito) che si riscontra sempre più spesso per indicare l’attitudine di queste multinazionali nei confronti dei paesi «reali».

Il concetto di sovranità digitale è nato in questo contesto nel corso degli anni 2000. In Francia l’espressione fu resa popolare da Pierre Ballanger nel 2008, poi definita all’interno di un libro del 2014, La Souveraineté numérique (La sovranità digitale),ed è stata ripresa da allora da diversi attori della politica, come il ministro degli Interni Michèle Alliot-Marie che affermò nel 2009 la necessità di «garantire la sovranità digitale» e di «estendere lo spazio digitale al campo dello Stato di diritto» (5). Nel 2013 il caso Snowden (la rivelazione di ascolti di massa ad parte della NSA) mise in luce i rischi legati all’assenza di una governance degli spazi digitali. Poi lo scandalo Facebook – Cambridge Analytica nel 2015 mise l’accento sull’utilizzo fraudolento dei dati personali degli utenti da parte di piattaforme multinazionali, poco preoccupate della riservatezza.

La questione dell’indipendenza digitale è ormai ben radicata nella società. Questa si traduce in decisioni concrete, prese a livello europeo, finalizzate a sviluppare soluzioni di Cloud sovrani e di motori di ricerca locali (di cui fa parte il francese Qwant), ma anche a incoraggiare le imprese europee ad assumere la loro indipendenza di fronte ai grandi attori transnazionali del web per preferire le soluzioni nazionali. Sono soprattutto i dati sfruttati da queste imprese a essere considerati sensibili ed è qui che si pongono le sfide maggiori relative alla sovranità digitale per le organizzazioni.

Quali sono le sfide dell’indipendenza digitale?

Nella pratica, la ricerca di una vera indipendenza digitale porta con sé due grandi sfide per le imprese, una di tipo strategico e l’altra di tipo etico.

Una sfida strategica

Mentre la pandemia ha ulteriormente aumentato la dipendenza delle imprese verso soluzioni Cloud transnazionali, diventa urgente per loro sviluppare una forma di autonomia digitale al fine di mantenere il controllo dei propri dati (i propri e quelli dei loro clienti). Poiché i grandi operatori del web sono soggetti a regolamentazioni, possono andare incontro agli interessi strategici delle organizzazioni che li utilizzano. Per fare un esempio, il GAFAM rispondono a regole di extraterritorialità, proprio come il Cloud Act che autorizza il governo americano ad accedere ai dati salvati da società nazionali… compresi i loro server che sono installati al di fuori degli Stati Uniti!

In questo modo la riservatezza di queste informazioni non può essere garantita in alcun caso. Ora con il 92% dei dati prodotti in occidente che viene conservato negli USA (6), questa legge costituisce una minaccia per gli interessi delle imprese.

Una sfida etica

La sovranità digitale si applica anche agli individui, al fine di preservare il diritto al rispetto della vita privata. Questo, in particolare, è il caso in cui i dati affidati agli operatori sono sensibili: dati bancari, informazioni sulla salute, dati finanziari, ecc.

Le regole di extraterritorialità non sono le sole in causa. Poiché questi dati, una volta raccolti dalle organizzazioni, possono essere rivenduti ad agenzie pubblicitarie…se non a istituzioni con una strategia politica, come ha mostrato lo scandalo Cambridge Analytica (le informazioni personali degli elettori erano state utilizzate per influenzare le intenzioni di voto).

Gli utenti sono sempre più attenti al trattamento dei loro dati personali (il 69 % dei francesi è preoccupato di come questi vengono sfruttati(7)), quindi le imprese hanno tutto l’interesse di proteggere accuratamente queste informazioni.

Perché le imprese hanno interesse a garantire la sovranità dei loro dati?

Alla luce di questa sfida, si pone il problema: concretamente, perché le imprese devono avere l’interesse di arrivare alla sovranità digitale? Le risposte sono diverse.

  • Per proteggere i loro dati. Questo vale in particolare per le imprese che conservano dati sensibili in settori come la difesa, la sanità, la sicurezza, le banche e le assicurazioni, le industrie, ecc. Tuttavia, tutti i dati personali rappresentano un rischio quando vengono rubati, alterati o utilizzati in modo improprio. Ora, come abbiamo visto, è impossibile garantire la loro riservatezza quando sono conservati dai giganti del web. Al contrario, in Europa i dati sono protetti soltanto dalle leggi continentali, come l’RGPD.
  • Per rassicurare gli utenti. I francesi sono molto attenti alle problematiche legate al trattamento dei loro dati personali: Il 49% di loro si è già chiesto in quale paese sono conservati i dati personali. Il 44% darebbe fiducia a un operatore francese o europeo per la gestione dei loro dati (solo il 2% a un operatore americano!). Infine, il 66% si dice disposto a rinunciare a un servizio digitale senza avere un’idea chiara del modo in cui sono utilizzati e conservati i loro dati (7). Inevitabilmente, un orientamento basato sulla ricerca di una vera indipendenza digitale diventa un argomento di differenziazione per le imprese.
  • Per essere meno dipendenti da soluzioni straniere e dai cambiamenti che queste possono imporre (in riferimento alla loro politica interna o al fine di applicare regole legislative nazionali). E, come contropartita, avere i benefici associati ricorrendo a operatori locali: vicinanza, ascolto, reattività, sicurezza.

(1) «Sovranità digitale», Hewlett Packard, 2020.

(2) Definizione di Larousse.

(3) «Dichiarazione di indipendenza del Cyberspazio », John Perry Barlow, 1996.

(4) «La Danimarca nomina un ambasciatore presso il GAFA», La Tribune, 2017.

(5) «Definizione e sfida della sovranità digitale», Vie Publique, 2020.

(6) «European Digital Sovereignty», Oliver Wyman, 2020.

(7) «I francesi e la sovranità digitale», sondaggio Ifop per OVHcloud, 2021.

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